← Torna alla home
Copertina

Giustizia e tempo: La tutela del cittadino e i tempi della giustizia italiana

30 July 2025 4 min. lettura

“Il tempo è giustizia”: un principio spesso tradito

Il diritto a ottenere una decisione giudiziale entro un termine ragionevole non è una concessione, ma un diritto fondamentale.

Lo sancisce la Costituzione italiana all’art. 111, lo ribadisce la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo all’art. 6. Eppure, nella prassi quotidiana, il tempo processuale diventa un ostacolo anziché una garanzia.

In Italia, i ritardi della giustizia sono una delle principali cause di sfiducia dei cittadini verso il sistema giudiziario. Ma cosa si intende davvero per “tempo ragionevole”? E cosa succede quando questo limite viene superato?

 

 

La regola europea: 3 criteri per capire se un processo è troppo lungo

Secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), per valutare la ragionevolezza della durata di un processo occorre considerare:

  1. La complessità del caso: Un processo penale per reati di criminalità organizzata non può essere paragonato a un ricorso amministrativo semplice.
  2. Il comportamento delle parti: Non è corretto imputare allo Stato i ritardi causati da continue richieste dilatorie degli avvocati.
  3. Il comportamento delle autorità giudiziarie, il nodo più critico: Giudici sotto organico, carenza di risorse, rinvii sistematici, mancanza di digitalizzazione.

Secondo questi criteri, molti processi italiani violano l’art. 6 CEDU, come confermato da numerose sentenze di Strasburgo.

 

I numeri della giustizia che si trascina

Secondo i dati più recenti del Ministero della Giustizia:

  • Un processo civile di primo grado dura in media oltre 500 giorni.
  • Un processo penale può superare tranquillamente i 6 anni (sommando i tre gradi di giudizio).
  • L’Italia è stata condannata centinaia di volte dalla Corte di Strasburgo per l’eccessiva durata dei processi.

È una giustizia che spesso arriva quando è ormai inutile. E la percezione generale si traduce in una sensazione di impunità e incertezza, due nemici giurati del diritto.

 

 

La Legge Pinto: un rimedio… insufficiente?

Nel 2001, l’Italia ha introdotto la cosiddetta Legge Pinto (legge n. 89/2001), che permette al cittadino danneggiato dalla durata eccessiva di un processo di chiedere un indennizzo economico.

Ma il meccanismo si è rivelato:

  • Lento e farraginoso: per ottenere il risarcimento occorre un altro processo.
  • Limitato: l’importo medio dell’indennizzo è spesso simbolico.
  • Non preventivo: non evita i ritardi, li “risarcisce” dopo.

In pratica, un cerotto su una ferita aperta, senza capacità di guarire la causa del problema.

 

 

Riforme e promesse: la giustizia più veloce arriverà davvero?

Negli ultimi anni, il legislatore ha promesso (e in parte avviato) riforme strutturali:

  • Digitalizzazione del processo
  • Filtri e riduzione dell’accesso alla Cassazione
  • Riforma del processo civile e penale (Cartabia)
  • Assunzione di nuovo personale amministrativo e giudiziario

Tuttavia, l’impatto concreto è ancora parziale, specie al Sud. La vera svolta arriverà solo con un cambio culturale che premi l’efficienza e non la burocrazia.

 

 

Il ritardo della giustizia mina la democrazia

Il tema della durata dei processi non è solo tecnico, né riguarda solo gli “addetti ai lavori”: è un nodo costituzionale, sociale e culturale.

Una giustizia inefficiente crea:

  • Disuguaglianze sostanziali: chi ha più risorse può permettersi di resistere a lunghi giudizi, chi non ne ha rinuncia alla tutela.
  • Perdita di legittimità del sistema: i cittadini smettono di credere nelle istituzioni e cercano alternative private (arbitrati, mediazioni forzate, o peggio).
  • Rischi per le imprese e l’economia: investitori e aziende evitano i Paesi in cui far valere un contratto richiede anni.

 

In questo senso, la lentezza della giustizia è un limite concreto all’effettività dello Stato di diritto.

Servono riforme, ma serve anche un’etica della responsabilità istituzionale, in cui tutti i legislatori, magistrati, avvocati e funzionari, tornino a considerare il “tempo del diritto” come parte integrante del diritto stesso.

Perché, come diceva Piero Calamandrei, “La giustizia ritardata è una giustizia negata”.

 

 

Il tempo è una questione di giustizia sostanziale

Una sentenza tardiva è spesso una non-sentenza.

Il diritto alla giustizia comprende il diritto a una decisione tempestiva, non solo formalmente “giusta”.

La giustizia italiana ha bisogno di tempi umani, perché solo così potrà riconquistare la fiducia dei cittadini e tornare a essere un presidio di legalità, non una promessa disattesa.

 

A cura degli studenti sotto la facoltà di Giurisprudenza e Ingegneria Informatica

 

Condividi


Articoli Correlati

19 September 2025 · Diritto

La legge in Italia oggi: tra principi e realtà

Leggi l'articolo →

13 August 2025 · Diritto

Diritto o algoritmo?

Leggi l'articolo →