Un esperimento che fa discutere
Nel Regno Unito, l’ente pubblico Acas (Advisory, Conciliation and Arbitration Service) ha annunciato la sperimentazione di chatbot e strumenti di intelligenza artificiale per gestire le controversie sul lavoro. L’obiettivo dichiarato è semplice quanto ambizioso: ridurre i tempi delle conciliazioni, abbattere i costi e rendere più accessibile la risoluzione dei conflitti.
Una rivoluzione silenziosa che però apre domande delicate: è davvero possibile affidare a un algoritmo la mediazione tra datore e lavoratore?
Perché si guarda all’AI
Le statistiche parlano chiaro: le controversie di lavoro sono in aumento, e i tempi della giustizia spesso incompatibili con le esigenze del mondo produttivo.
Acas punta quindi sull’AI come strumento di supporto, capace di gestire fasi preliminari: raccolta delle istanze, analisi delle norme applicabili, proposta di soluzioni standardizzate.
In teoria, la macchina dovrebbe alleggerire il lavoro dei conciliatori umani, che resterebbero decisivi nelle fasi più delicate.
Le opportunità per imprese e lavoratori
Per le imprese, l’uso di AI significa tagliare costi e avere una gestione più rapida dei conflitti. Per i lavoratori, potrebbe rappresentare un accesso più semplice e meno burocratico alle tutele previste dalla legge.
Immaginiamo uno scenario in cui un dipendente, licenziato ingiustamente, possa avviare un dialogo iniziale con un assistente AI, ricevendo spiegazioni sui propri diritti e sulle possibili vie di conciliazione.
Una sorta di sportello digitale h24, sempre disponibile, senza barriere di tempo e spazio.
I rischi nascosti dietro l’automazione
Ma ogni promessa ha il suo rovescio. Un chatbot non è in grado di cogliere la dimensione umana di un conflitto: i rapporti personali, le tensioni emotive, le sfumature di una discriminazione.
Inoltre, l’AI si basa su dati e modelli: se i dataset fossero incompleti o distorti, si rischierebbero bias sistemici, con conseguente violazione del principio di uguaglianza.
C’è poi il tema della privacy: chi garantisce che le informazioni sensibili inserite in un sistema di conciliazione digitale non vengano usate impropriamente?
Il confronto con l’Italia
In Italia, la conciliazione in materia di lavoro è già disciplinata da norme precise: il d.lgs. 28/2010 sulla mediazione civile e commerciale, integrato da procedure specifiche del diritto del lavoro.
Tuttavia, nessuna istituzione pubblica ha ancora sperimentato l’uso di AI in questo ambito.
La domanda è inevitabile: potrebbe un modello come quello di Acas essere importato anche da noi?
Da un lato, ridurrebbe i tempi infiniti della giustizia del lavoro; dall’altro, rischierebbe di comprimere le garanzie fondamentali del lavoratore, già spesso in posizione di debolezza.
Il nodo giuridico: imparzialità e contraddittorio
Il diritto alla difesa e al contraddittorio è garantito dalla Costituzione italiana e dalle direttive europee. Affidare anche solo una parte del processo di conciliazione a un algoritmo potrebbe sollevare dubbi di legittimità costituzionale.
Chi risponde se l’AI commette un errore?
Un conciliatore umano può spiegare la sua decisione; un chatbot no. E senza trasparenza, il rischio è quello di trasformare la giustizia in una black box opaca, lontana dai principi di imparzialità.
Un’occasione per il Legal Tech europeo
Eppure, non tutto è da scartare. Se usata con cautela, l’AI potrebbe diventare un alleato dei conciliatori, uno strumento per rendere più efficiente la parte burocratica, lasciando alle persone il cuore della decisione.
In questo senso, il modello Acas è un laboratorio per l’Europa: potrebbe stimolare riflessioni su come integrare tecnologia e diritti senza sacrificare il fattore umano.
L’algoritmo non può mediare da solo
L’esperimento del Regno Unito è coraggioso, ma anche rischioso. Il conflitto sul lavoro non è solo una questione di norme: è relazione, empatia, riconoscimento reciproco.
L’AI può accelerare i processi, ma non può sostituire l’essenza stessa della conciliazione.
Per questo, più che “delegare” all’algoritmo, dovremmo chiederci come usarlo in modo responsabile.
La vera sfida per il diritto europeo non è scegliere tra uomo e macchina, ma trovare un equilibrio che valorizzi entrambi.
A cura degli studenti sotto la facoltà di Giurisprudenza e Ingegneria Informatica